La chiamavan Capinera pei suoi ricci neri e belli, stava sempre fra i monelli per la strada tutto il dì. Scalza e lacera una sera, m'apprestavo a rincasar, col visino suo di cera me la vidi avvicinar: "Dammi un soldo, ho tanta fame" "Hai la mamma?" - "Non ce l'ho". "E il tuo babbo, la tua casa?" E lei triste "Non lo so". Provai una stretta al cuore e quella sera la mia casetta accolse Capinera. E lei cantava, cantava giuliva, di trilli e gridi la casa m'empiva, ed un bel sogno nel cuor carezzavo. La contemplavo, forse l'amavo. Tredici anni lei compiva. S'era fatta pensierosa. "Pensi forse a qualche cosa che ti manca?" "Non lo so". Primavera, sole e fiori. Capinera è sempre là. Sta affacciata e guarda fuori. "Cosa vuoi?" - "La libertà". "Non hai casa, non hai mamma, dove andrai?" Rispose: "Andrò". Con la mano piccolina l'orizzonte m'insegnò. Provai una stretta al cuore finchè una sera più non trovai a casa Capinera. Di trilli e gridi la casa m'empiva. La contemplavo, forse l'amavo. Fu in un'alba di Gennaio, dopo l'orgia rincasavo, nevicava e m'affrettavo già ad aprire il mio porton. Ma a distanza molto breve, vidi un certo non so che affiorare tra la neve. Dissi allor: "Vediam cos'è". Eran cenci. Io li rimossi. Diedi un grido: "Due piedin". Due piedini scalzi e rossi, poi le mani, poi un visin. Un urlo mi sfuggì vedendo ch'era, la mia piccina, la mia Capinera. Forse pentita al suo nido tornava. Forse quaggiù, che le aprissi invocava, mentre la neve saliva, saliva, e lei moriva.